sabato 31 maggio 2008

Calcolosi urinaria

La calcolosi urinaria è una malattia dell’apparato urinario che si sviluppa al formarsi di calcoli urinari.Questi sono degli aggregati solidi (una sorta di piccoli sassi), che si depositano nelle cavità dell'apparato urinario, più comunemente costituiti da ossalato di calcio o da acido urico.La produzione dei calcoli deriva dal superamento della concentrazione massima consentita dei sali in soluzione nelle urine, in modo tale che i sali stessi tendono ad aggregarsi fino a formare dei cristalli; il compattarsi tra loro di questi ultimi fa insorgere il calcolo.Quando i calcoli sono di dimensioni piuttosto ridotte e sono situate in determinate posizioni, solitamente non arrecano fastidi.Qualora, però, il calcolo si ingrossi e/o migri in zone più sensibili, i sintomi di quella che viene definita “colica renale” diventano tra i più dolorosi che si possano conoscere: un dolore acuto, di solito di tipo intermittente, aggredisce un fianco, fino ad estendersi alla regione lombare.Non di rado, durante una colica renale, il paziente manifesta nausea, vomito, sudorazione, senso di gonfiore addominale e sangue nelle urine.La colica renale viene solitamente curata con farmaci antidolorifici, mentre la terapia dei calcoli urinari è diversa a seconda della sede del calcolo, delle sue dimensioni, della sua presunta composizione e degli effetti determinati dal calcolo sull'apparato urinario.Poiché i calcoli tendono con il tempo ad aumentare di dimensioni (con il rischio crescente di causare infezioni urinarie e danni talvolta irreparabili ai reni), è opportuno intervenire non appena l’urologo riterrà che sia giunto il momento.Le tecniche tradizionali di tipo chirurgico sono state quasi del tutto sostituite da metodologie caratterizzate da una minima invasività, tra le quali la “litotrissia extracorporea ad onde d'urto” (ESWL), che consiste in un trattamento attuato senza anestesia mediante un apparecchiatura in grado di frantumare i calcoli attraverso l'emissione di speciali onde energetiche.Assai utilizzate sono anche la “litotrissia percutanea renale” (PNL) (intervento chirurgico endoscopico, che richiede un'anestesia generale, eseguito mediante uno strumento ottico denominato nefoscopio) e la “litotrissia ureterale endoscopica” (intervento chirurgico endoscopico, che richiede un'anestesia spinale, eseguito mediante uno strumento ottico denominato ureteroscopio).E’ da evidenziare che alcuni particolari tipi di calcoli, in particolare quelli composti da acido urico, possono essere sciolti con l'utilizzo di alcuni farmaci e combattuti, anche in via preventiva, con una dieta povera di sostanze ad alto contenuto di acido urico (come carni, specie grasse).E’ di ausilio, in ogni caso, introdurre regolarmente notevoli quantità di liquidi nell’organismo, in particolare acque oligominerali, ossia a basso contenuto di sali minerali.

lunedì 19 maggio 2008

Per il fegato, carciofo e cardo mariano

Il nostro apparato digerente è costituito dal tubo digerente, che inizia a livello della cavità orale e termina a livello del retto, e da due grossi organi annessi, il fegato ed il pancreas: questi servono alla produzione dei succhi digestivi indispensabili per la digestione e l’assorbimento dei grassi, delle proteine e dei carboidrati presenti negli alimenti.
E la loro attività è legata a numerosi fattori di ordine fisico ma anche chimico, come ad esempio l’acidità o alcalinità degli alimenti, la presenza più o meno consistente di grassi, di alcool, ecc.
Si tratta cioè di un apparato di per sé molto complesso, il cui buon funzionamento, forse più di ogni altro apparato, risente costantemente del tipo di alimentazione.
La fitoterapia tradizionalmente ci consente di utilizzare sostanze di origine vegetale in grado di migliorare certe funzioni specifiche di questo apparato.
Oggi parleremo delle piante più facilmente utilizzabili per le loro funzioni sul distretto epato-biliare, sul fegato cioè e sulle vie biliari, che servono a raccogliere la bile prodotta dal fegato e ad immetterla nell’intestino al momento dell’arrivo del cibo nel tratto duodenale.
Le piante maggiormente studiate e utilizzate sono due, molto simili morfologicamente, ma con indicazioni abbastanza diverse tra loro: il Cardo mariano ed il Carciofo.

Cardo mariano.
Il Cardo Mariano (Silybum marianum Gaertner) è una robusta pianta erbacea, originaria dai paesi del bacino mediterraneo, ed oggi in realtà prevalentemente coltivata a scopo farmaceutico e cosmetico.
La parte utilizzata è rappresentata dal frutto, impropriamente chiamato seme, piuttosto che le foglie, un tempo di uso comune invece nella medicina popolare. Il Cardo mariano è la pianta che per eccellenza si merita il tanto discusso appellativo di epatoprotettore, impropriamente ritenuta un "depurativo del fegato" offre in realtà un vero e proprio complesso di sostanze capaci di proteggere le cellule del fegato (epatociti) dai danni di varie sostanze tossiche quali l'alcool, il fumo, i farmaci, ecc. Queste sostanze appartengono alla categoria dei flavolignani, presenti nei suoi semi, e formano un fitocomplesso denominato ormai universalmente silimarina, prevalentemente costituito da tre molecole (silibina, silicristina e silidianina) per la quale, a carico del fegato, sono state ampiamente dimostrate le seguenti proprietà farmacologiche:
· stabilizzazione delle membrane cellulari e lisosomiali
· effetto antiossidante e radical 'scavenger'
· inibizione della perossidazione dei lipidi
· effetti antiinfiammatori ed antifibrotici
· stimolo per la glicuroconiugazione e la biosintesi proteica
· accellerazione della rigenerazione epatica
Anche recentemente è stato ricomfermato il ruolo dei flavolignani del Cardo mariano nella terapia delle epatopatie tossiche, epatiti croniche, fibrosi e cirrosi epatiche e come antidoto nelle intossicazioni da Amanita phalloides (con somministrazione di silimarina per via endovenosa). Nel complesso la silimarina migliora la funzionalità dell'epatocita, con un' attività epato-protettrice, anti-necrotica e lipotropa. La Silimarina è oggi utilizzata anche in cosmesi per le proprietà antiossidanti ed eudermiche.
La raccomandazione importante è quella di non utilizzare gli estratti di Cardo mariano sotto forma di tisana, di estratto secco o di tintura alcolica, bensì sotto forma di silimarina, cioè di fitocomplesso purificato, peraltro disponibile in numerosi preparati del commercio ed in vere e proprie specialità medicinali.

Carciofo.
Contrariamente a quanto ritenuto, del Carciofo (Cynara scolymus) si utilizzano le foglie della pianta e non il frutto, abitualmente apprezzato come ortaggio. E’ opinione comune che il Carciofo sia la pianta ideale per curare e proteggere il fegato, ma la ricerca scientifica e gli impieghi clinici hanno invece dimostrato che i suoi estratti sono particolarmente indicati nei disturbi delle vie biliari piuttosto che del parenchima epatico vero e proprio.
I costituenti chimici più importanti sono rappresentati dai polifenoli (flavonoidi, tannini e i derivati dell'acido clorogenico), poliacetileni, steroli, acidi organici sali minerali e componenti volatili aromatici. Oggi sappiamo anche che la cinarina, un tempo ritenuta il principio attivo del carciofo, in realtà non è presente nella pianta, ma si forma soltanto durante il processo di essiccamento.
Le reali proprietà farmacologiche attribuite al Carciofo, verificate anche con studi sull'animale, sono:
· coleretico
· diuretico
· ipolipemizzante
Mancano invece verifiche e conferme con studi condotti sull' uomo (e sull'uomo malato) per le proprietà epatoprotettrici, antielmintiche, ossitociche, antibatteriche ed antivirali. Tutte attività farmacologiche che pure sono state sperimentate in vitro o sull'animale.
Così come mancano studi sulle proprietà depurative del carciofo nei soggetti con insufficienza renale, malattie dermatologiche, dalla psoriasi al prurito, dall'orticaria ai foruncoli; tutte indicazioni che avevano invece trovato un certo credito nella credenza popolare.
Gli estratti di Carciofo quindi possono razionalmente essere utilizzati per fluidificare la bile e migliorare il quadro funzionale del soggetto dispeptico, attivare il catabolismo epatico del colesterolo e ridurre il rischio di calcolosi biliare.
Mentre le tinture e le tisane rappresentano vecchie preparazioni, peraltro amare e non titolate, si consiglia invece il ricorso all'uso di estratti secchi standardizzati. Il Carciofo è presente anche in Farmacopea.
Opportunamente prescritte dal medico queste due piante possono quindi servire nella prevenzione cura di disturbi o patologie rispettivamente del fegato (Cardo mariano) e delle vie biliari (Carciofo). www.naturamedica.net

Il primo mese di Vita..

Sabato 17 maggio la nostra redazione ha compiuto il primo mese di vita, si ringraziano tutti gli amici che in questo primo mese hanno condiviso con noi le informazioni e le notizie contenute in questo blog. Grazie

Esofagite e reflusso gastroesofageo

L’esofagite è una patologia dell’apparato digerente che, specie negli ultimi decenni, si sta diffondendo in maniera preoccupante, soprattutto nei Paesi Occidentali, fino a colpire quasi un Italiano su tre, in prevalenza donne e con un età di circa sessanta anni, anche se non di rado si presenta in gravidanza o nei neonati. Come si ricava dall’etimologia greca della parola, l’esofagite consiste in un’infiammazione dell’esofago, ossia del canale che, per il tramite di una valvola detta “cardias”, permette il passaggio del cibo fino allo stomaco. Più precisamente, si parla di vera e propria esofagite ogni qual volta sulla mucosa dell’esofago sono rintracciabili, mediante gli opportuni esami (tra i quali va assegnato oggi un ruolo di primo piano alla gastroscopia), delle lesioni di gravità variabile, che vanno da piccolissime ferite a erosioni e ulcere di grandezza anche molto preoccupante. Le lesioni sono provocate dall’azione corrosiva svolta dal materiale acido che, per un errato funzionamento del cardias, risale dallo stomaco all’esofago. Quando, infatti, la valvola appena citata non si richiude subito dopo il transito del cibo, una parte di quest’ultimo, insieme ai succhi gastrici e agli acidi prodotti dallo stomaco per favorire la digestione, risale verso l’esofago, organo non dotato di sistemi in grado di neutralizzare e rendere innocui tali sostanze acide e corrosive. Le cause che determinano l’insorgere di questa malattia possono essere diverse e la loro reale incidenza non è stata ancora dimostrata in modo scientifico; è stato provato, tuttavia, che può essere cagionata da infezioni, da radioterapia, da un uso ripetuto di certi tipi di farmaci (specie di tipo analgesico), da avvelenamento per assunzione di sostanze caustiche, da presenza di un’ernia iatale o da abuso di sostanze irritanti, quali alcolici, fumo, caffé, cioccolato o cibi eccessivamente grassi. Il fattore che provoca l’esofagite con una frequenza statistica più elevata di ogni altra causa, però, è il “reflusso gastroesofageo”, una malattia assai diffusa che, all’incirca nel 40% dei casi, è associata alla vera e propria esofagite ossia, come detto, a vere e proprie lesioni lungo la parete dell’esofago. Quanto ai sintomi tipici dell’esofagite, quelli caratteristici sono bruciore all’altezza dello sterno e senso di acidità, che parte dalla bocca dello stomaco e si propaga fino alla bocca, ove, subito dopo i pasti, possono verificarsi dei fenomeni di reflusso di bile e succhi gastrici, con risalita di una parte di cibo lungo l’esofago. Spesso le eruttazioni ripetute provocano spasmi che, non di rado, stimolano rigurgiti di sostanze acide. In alcuni casi, sono riscontrabili anche sintomi meno tipici, come dolore al torace, difficoltà di deglutire e perfino manifestazioni come tosse o laringite cronica, sanguinamento o fastidi all’orecchio. Per evitare il reflusso dei succhi gastrici attraverso la valvola è sufficiente, spesso, modificare in modo opportuno lo stile di vita: smettere di fumare, evitare gli alimenti e i condimenti piccanti o, comunque, irritanti visti poc’anzi, e masticare il cibo con calma, preferendo pochi pasti non eccessivi. E’ consigliabile, poi, non coricarsi subito dopo un pasto, specie se abbondante, e, al contrario, fare passeggiate anche brevi che aiutino la digestione. Non bisogna indossare pancere o abiti stretti in vita, né effettuare sollevamento di pesi o, comunque, sforzi con il busto protratto in avanti, i quali favorirebbero l’aumento della pressione sull’addome e, quindi, la risalita del cibo verso la bocca. Per i soggetti che manifestano i sintomi più gravi dopo cena, è solitamente di grande ausilio sollevare di alcuni centimetri il capezzale del letto, in modo che il busto risulti leggermente più in alto degli arti inferiori. Qualora l’adozione delle cautele preventive menzionate non riesca, da sola, a risolvere il problema, il medico normalmente prescrive dei farmaci specifici che tendano a ridurre il reflusso oppure a renderlo innocuo per le mucose dell’esofago. I medicinali più usati attualmente sono i c.d. “inibitori di pompa protonica”, che tendono a diminuire la produzione di succhi gastrici, mentre meno di frequente si ricorre ai c.d. “procinetici”, sostanze come metoclopramide, domperidone e levosulpiride, le quali migliorano il tono e, quindi, il funzionamento del cardias, la valvola che permette il corretto defluire del cibo e il regolare svuotamento dello stomaco. I farmaci più blandi, impiegati, per lo più, quando la patologia non è grave, sono i c.d. “antiacidi”, che attenuano il potere corrosivo e l’acidità della bile. Sarà lo specialista a stabilire se l’assunzione di un determinato farmaco sia necessaria solo all’occorrenza o per periodi anche molto prolungati. Quando neppure la terapia farmacologica funziona, non resta che porre rimedio con un’operazione chirurgica, la quale avrà lo scopo principale di apporre una barriera artificiale all’altezza del cardias, in modo da impedire il reflusso gastroesofageo; i metodi di plastica più diffusi allo stato attuale sono quello detto di “Dor” oppure quello di “Nissen-Rossetti”. In conclusione, si pone l’accento sulle possibili complicanze dovute a un’esofagite non curata in tempo. Innanzitutto, le cicatrici lasciate dalle ferite lungo l’esofago possono essere ad origine di un restringimento dell’esofago, ossia della c.d. “stenosi”, malattia piuttosto grave dell’apparato digerente. Ma la complicanza più temibile che, peraltro, sopravviene ben nel 10% circa dei casi di esofagite, è il c.d. “esofago di Barrett”. Quest’ultima patologia si verifica allorché le cellule che compongono la parete dell’esofago, per tentare di difendersi dagli attacchi degli acidi gastrici, mutano la loro essenza fino a trasformarsi in cellule che, similmente a quelle che compongono lo stomaco, sono capaci di neutralizzare e rendere inoffensive le sostanze biliari. Tale modificazione cellulare, tuttavia, è una condizione preoccupante perché aumenta sensibilmente il rischio di tumori all’esofago.

martedì 13 maggio 2008

Salute: lo studio, parlare piu' lingue fa bene al cervello

Via libera a tate straniere, asili multilingue e vacanze studio all'estero. Imparare a parlare idiomi diversi da quello del Paese nativo fa bene alla salute, almeno a quella della mente. Conoscere e 'masticare' lingue diverse mantiene giovane il cervello, e tiene lontani gli acciacchi legati all'età. La buona notizia per i poliglotti arriva dai ricercatori della Tel Aviv University (Israele), secondo i quali doversi districare tra diversi idiomi protegge la mente dall'invecchiamento. Il team di Gitit Kavé, neuropsicologa dell'Herczeg Institute on Aging dell'ateneo israeliano, ha scoperto infatti che gli anziani che parlano più lingue ottengono i risultati migliori ai test sulla funzionalità cognitiva, come si legge su 'Psychology and Aging'. "Non c'è un elisir miracoloso per tenere a bada gli acciacchi dell'età - ammonisce la studiosa - ma usare una seconda o una terza lingua può aiutare a prolungare gli anni buoni", quelli in cui la mente lavora con prontezza e acutezza. Infatti sembra proprio che un poliglotta, con il passare delle primavere, sia più lucido e pronto rispetto ai coetanei che conoscono una sola lingua. I diversi linguaggi possono creare nuovi legami cerebrali, contribuendo così alla salute della mente. La ricerca è basata sullo studio condotto dal 1989 su un gruppo di persone tra i 75 e i 95 anni. I ricercatori hanno indagato sulla conoscenza e l'abitudine a parlare diverse lingue (da due a tre e oltre), sottoponendo poi gli anziani a una serie di test cognitivi. Ebbene, il risultato non lascia dubbi. Più lingue si conoscono e si parlano, migliore è lo stato di cognitivo di una persona. "A regalare una mente pronta e lucida in tarda età contribuisce anche il grado di istruzione di un individuo", avvertono gli studiosi. Ma sembra che il numero di lingue parlate abbia un effetto benefico a sé. Insomma, avere un cervello giovane è una questione di parole, non solo di diploma o laurea. "Abbiamo scoperto che il fatto di sapersi esprimere in più lingue è correlato in modo più significativo allo stato cognitivo proprio negli anziani che non hanno studiato affatto", precisa la Kavé. A questo punto, evidenzia la studiosa, occorre interrogarsi sul legame tra le diverse lingue e la giovinezza prolungata della mente. Sono le prime a provocare la seconda, o il fatto di aver imparato idiomi diversi non è che il segno di una mente particolarmente acuta, destinata a invecchiare più lentamente del normale? In ogni caso, conclude la Kavé, conoscere una lingua in più oltre a quella nativa non è che una cosa positiva. "Nella mia esperienza professionale le lingue diverse sono benefiche a ogni età: regalano una flessibilità di pensiero - conclude - e un canale in più per comprendere le altre culture al meglio".

Alcol: lo studio, scritta nei geni l'eta' dei primi drink

L'età in cui si inizia con i primi drink è scritta nei geni. O meglio: è anche il nostro Dna a dire la sua su quando si comincia a bere, mentre l'ambiente sociale influenza la quantità di alcol che si manda giù. La prova arriva da uno studio sui gemelli, realizzato dai ricercatori dell'ateneo di Nijmegen (Olanda). Gli studiosi olandesi hanno monitorato i comportamenti di 694 coppie di gemelli, sia maschi che femmine, tra i 12 e i 15 anni. Una parte del campione era composto da gemelli identici, omozigoti, un'altra da eterozigoti. Per separare l'influenza genetica da quella ambientale e sociale, i ricercatori hanno analizzato la data in cui ciascun teenager ha iniziato a bere alcolici e la frequenza. Dai dati dello studio, che verrà pubblicato in giugno sulla rivista 'Alcoholism: Clinical & Experimental Research', è emerso che i geni sono il fattore che incide maggiormente su quando si comincia a bere. In particolare, il Dna è determinante per l'83% dei maschi e il 70% delle femmine. Mentre i fattori ambientali e sociali risultano responsabili della frequenza con cui l'82% degli adolescenti beve alcolici. "Spesso si pensa che l'età dei primi drink sia sostanzialmente legata a fattori sociali, ma non è così - spiega Evelien Poelen, che ha coordinato il progetto - Questo studio mostra che anche i fattori genetici sono coinvolti nell'inizio precoce. Per i genitori è quindi importante non 'stimolare' questi geni, impedendo ai figli di avvicinarsi all'alcol precocemente, anche in assenza di situazioni ambientali pericolose".

domenica 11 maggio 2008

Ictus: colpisce italiani sempre piu' giovani, sotto accusa ecstasy e cocaina

L'ictus? Non è solo 'roba da vecchi'. In Italia sale drammaticamente l'incidenza di questo temibile attacco tra i giovani, con ben 10.400 persone colpite ancor prima di aver spento le 55 candeline. Di questi, addirittura 4.200 hanno meno di 45 anni. E le cose sono destinate a peggiorare con il trascorrere degli anni. Sotto accusa finisce l'abuso di droghe, sempre più diffuso tra i giovani italiani. In particolare, le sostanze eccitanti come cocaina, anfetamina ed ecstasy. "Insomma quelle che comunemente vengono definite le droghe del sabato sera", conferma Danilo Toni, presidente dell'Associazione italiana ictus. A margine della presentazione, oggi a Roma, della IX Giornata nazionale contro l'ictus cerebrale, l'esperto ci tiene tuttavia a precisare che alla base dell'ictus giovanile "vi sono soprattutto cause genetiche, nonché dissecazione delle arterie carotidee e vertebrali causata da traumi o microtraumi ripetuti al collo". Ma anche le droghe eccitanti finiscono sul banco degli imputati, e, accanto all'invecchiamento generale della popolazione, il loro abuso è una delle cause destinata a far aumentare, negli anni a venire, il numero delle persone colpite da ictus. E' un fulmine a ciel sereno che sconvolge la vita di 200 mila italiani l'anno. E' l'ictus cerebrale, un killer silenzioso che ogni anno uccide nel nostro Paese 70 mila persone, mentre altre 50 mila restano con un'invalidità grave che li priva della loro indipendenza. Sono ben 900 mila i connazionali che, nel corso della loro vita, sono stati colpiti da un ictus. Di questi, tantissimi ne portano il segno, indelebile nel corpo oltre che nella memoria. Per mettere in guardia gli italiani da questo nemico giurato della salute, martedì prossimo partirà la settimana nazionale contro l'ictus cerebrale, presentata oggi a Roma in una conferenza stampa presso il Policlinico capitolino Umberto I. Dal 13 al 18 maggio prossimi, sono previste visite gratuite nei principali ospedali della Penisola con screening del rischio ictus, controllo della pressione arteriosa e calcolo del rischio cardiovascolare. Non solo. La campagna, promossa dalla Federazione Alice Italia onlus, porterà nelle piazze di numerose città appositi stand, dove medici e volontari forniranno consigli e indicazioni su come comportarsi in caso di 'emergenza ictus', un temibile imprevisto che, oltre a sconvolgere la vita di chi ne è colpito, grava pesantemente sulle casse del Ssn. In Italia, infatti, l'ictus assorbe circa 3,70 miliardi di euro l'anno solo di costi diretti, quasi il 4% dell'intera spesa sanitaria del nostro Paese.

martedì 6 maggio 2008

Anticancro under 40

di Umberto Veronesi
Il grande male colpisce a ogni età. E aumentano i casi tra i giovani adulti. Ma con la prevenzione la battaglia si può vincere. Cominciando presto a fare i controlli. Abbandonando fumo e grassi. E vaccinandosi contro il virus dell'Hpv. Il celebre oncologo spiega come salvarsi la vita .

A scuola m'interessavano di più le materie scientifiche, ma mi piaceva molto anche l'italiano. Con un grande interesse per le regole della linguistica, e con la curiosità di rintracciare le radici delle parole, che a volte sembrano montate secondo le modalità di un semplicissimo puzzle. Prevenzione, ad esempio, è l'atto, l'effetto del pre-venire. E prevenire ha due significati: precedere qualcuno o qualcosa arrivando prima; e provvedere in anticipo, cercando di evitare qualcosa. L'Associazione italiana per la ricerca sul cancro dedica la sua giornata dell'11 maggio all'urgenza di anticipare i tempi della prevenzione, che colpisce ormai molto anche i giovani adulti. Per loro, per le giovani donne che si ammalano di tumore del seno o per le adolescenti che devono scegliere se vaccinarsi contro il tumore della cervice, mi sembra particolarmente urgente e importante sottolineare che arrivare "prima" del tumore, evitandolo grazie agli stili di vita sani, o battendolo con la diagnosi precoce, significa lavorare sul tempo. Fortunatamente, tranne rari casi di neoplasie fulminanti, il tempo gioca a favore della prevenzione, perché in genere un tumore impiega molto tempo per svilupparsi. Io l'ho definita "la lunga notte del tumore", con l'intento di richiamare l'attenzione sul fatto che proprio questa lunga incubazione ci mette nella condizione di poter fare prevenzione. Anche per i più giovani.In sostanza, la proliferazione tumorale è un processo multifasico, che può durare anche tutta una vita. La crescita cellulare può, nella fase iniziale, non superare quella che chiamiamo "sorveglianza immunitaria": le difese del nostro organismo individuano le cellule tumorali e le eliminano. Si tratta di piccoli miracoli silenti che continuano ad avvenire nel nostro corpo, di cui non ci accorgiamo, di cui non rimane traccia. Che è andata bene, insomma. Negli altri casi, il Dna cellulare, intaccato dagli agenti cancerogeni, subisce un'alterazione che non viene né riparata né bloccata, e le cellule rispondono allo stimolo proliferativo cominciando a moltiplicarsi esageratamente. È un processo che dura anni: cinque, dieci, vent'anni, anche di più. Che cosa succede in tutto questo tempo?
È la domanda alla quale la ricerca sul cancro sta cercando di dare una risposta. Le fasi principali sono sei. Uno, attivazione dell'oncogène. Due, mancata attivazione del gene deputato alla soppressione dell'oncogène. Tre, inizio della moltiplicazione delle cellule tumorali. Quattro, crescita di nuovi vasi sanguigni deputati a nutrire il tumore. Cinque, scomparsa del normale meccanismo di equilibrio che programma la morte cellulare: sostanzialmente, le cellule dei tumori si eternizzano, e sono decenni che questo è stato scoperto in laboratorio, sulle colture cellulari. Infine, la fase numero sei, l'ultima: nella progressione le cellule tumorali hanno acquisito i loro caratteri biologici tipici, tra i quali l'andamento invasivo, la capacità di sviluppare colonie a distanza. Perciò ecco la metastasi.
È la sequenza di un brutto film, di un film che mette i brividi. Ma non è un copione obbligato, non è ineluttabile. Proprio la "lunga notte del tumore", cioè il lungo periodo di latenza, ci permette di giocare sul tempo per battere la malattia. Stiamo andando verso la possibilità di diagnosi sempre più precoci, e probabilmente entro dieci-vent'anni potremo passare sotto un detector in grado di rilevare nel nostro organismo tumori di una sola cellula, che sarà agevole distruggere. Intanto (ed è qui che entrano in campo farmaci più mirati e più efficaci) stiamo cercando d'individuare in modo più accurato la linea di demarcazione tra la fase reversibile di un tumore e il punto di non-ritorno nella traiettoria che porta la cellula sana o l'aggregato di cellule a trasformarsi in una massa di cellule maligne in progressivo accrescimento. Ma giocare sul tempo ha anche un'altra valenza, importantissima. Significa, in buona sostanza, che la prevenzione (sia come stili di vita, sia come semplici e facili controlli di routine per fare diagnosi precoce) va fatta subito, fin da giovani. Bisogna approfittare della "lunga notte del tumore" per batterlo sul tempo, e far sì che non si manifesti. Sappiamo tutti che i giovani si sentono immortali, non vogliono sentir parlare di malattia e di morte, e lo definiscono "gufare", con un parola di gergo giovanile molto espressiva.

lunedì 5 maggio 2008

Obesita': scoperto segreto per dimagrire senza tagli al menu'

Perdere peso senza rinunciare alle golosità del menù? Presto il sogno di molte persone alle prese con i chili di troppo potrebbe diventare realtà, dal momento che un gruppo di ricercatori australiani sostiene di aver scoperto il segreto per dimagrire senza toccare le calorie. Un team di scienziati di Melbourne ha visto, infatti, che basta manipolare le cellule grasse nei topolini, per accelerarne il metabolismo. In particolare, dopo aver rimosso un determinato enzima, gli studiosi hanno scoperto che gli animaletti 'modificati' potevano mandar giù le stesse porzioni pantagrueliche di quelli normali, bruciando però molte più calorie e accumulando meno peso. Una ricerca pubblicata su 'Pnas' che, si legge sulla Bbc online, potrebbe dare il via a farmaci brucia-grassi e aiutare a combattere il diabete. Lo studio ha scoperto che i topi in cui l'Ace(enzima di conversione dell'angiotensina) era stato rimosso, in media erano il 20% più leggeri dei compagni normali, e avevano fino al 60% in meno di grasso corporeo. A causa del loro rapido metabolismo, questi animaletti sono risultati anche meno a rischio di diabete, perché in grado di metabolizzare gli zuccheri più rapidamente. La buona notizia è che esistono già farmaci che bloccano l'azione dell'Ace nell'uomo: attualmente vengono usati per combattere l'ipertensione. Dunque quest'ultima ricerca potrebbe favorire la messa a punto di pillole speciali per perdere peso senza troppe rinunce. La questione, a questo punto, è capire se queste nuove pillole avranno sull'uomo lo stesso effetto scoperto nei topi.